A rischio la qualità della istruzione universitaria

 A rischio la qualità della istruzione universitaria

Nella scorsa settimana sono stati diffusi una serie di dati relativi alla popolazione studentesca della nostra regione.
Nonostante si tratti di statistiche provenienti da fonti diverse, esse contribuiscono a delineare un quadro generale a dir poco allarmante.
Secondo i dati che emergono dal rapporto Save the Children in Sicilia più del 60% degli studenti nelle scuole superiori non raggiunge il livello base delle competenze in italiano, mentre quelle matematiche sono disattese dal 70% degli studenti. Ancora, secondo le analisi condotte da Open Polis una fascia di studenti compresa tra il 42% e il 49% dei diplomati si iscrive all’università e solo il 20,10% dei giovani siciliani tra i 25 e i 34 anni sono laureati. La Sicilia si posiziona all’ultimo posto tra le regioni italiane per numero di persone laureate. Una recente indagine campionaria condotta dal Dipartimento di Economia degli studi di Messina, infine, suggerisce che, tra gli studenti iscritti al primo anno dei corsi di laurea triennali alla fine del primo semestre, una fascia compresa tra il 30% e il 50% ha sostenuto pochi o nessun esame. Provando a sintetizzare il dato possiamo dire che pochi giovani si iscrivono all’Università; tra coloro che si iscrivono una parte consistente ha carenze strutturali in italiano e matematica e non manifesta alcuna partecipazione attiva ai percorsi formativi universitari. Pochi sono quindi i laureati.

Ora è evidente che un popolo con una cultura universitaria è fondamentale nel mondo di oggi con gli impatti visibili della globalizzazione. La crescente importanza della conoscenza agisce come una miccia di innesco del processo di crescita e aiuta la rivoluzione dell’informazione e della comunicazione. La raccolta e l’applicazione delle conoscenze sono diventate importanti nel progresso economico e sono sempre più al centro del vantaggio competitivo di un Paese nell’economia globale. Non solo. L’istruzione universitaria, costringendo a pensare da più punti di vista e prospettive, è capace di creare persone che sanno pensare in modo critico, che sanno adottare strategie di soluzione dei problemi, collegamenti, che vogliono divergere, mettere in dubbio, rinunciare alle certezze, riuscire a scoprire e esplorare, evitare la semplificazione, ossia persone che hanno in sé la forza per ribellarsi agli schemi e alle rigidità dell’ambiente in cui sono nati. L’alternativa sono le persone che non pensano da sole, le persone facilmente manipolabili che sono comode per alcuni tipi di orientamento politico e sociale, con grave rischio per la qualità della vita democratica del nostro paese.

Ma altrettanto importante poi sono le conseguenze sulla qualità dell’istruzione universitaria. La bassa qualità degli studenti e la loro scarsa partecipazione al percorso formativo produce una serie di conseguenza poco desiderabili. Si riduce la presenza degli studenti nelle aule universitarie; si moltiplicano le richieste di appelli di esami trasformando l’università in un “esamificio”; aumenta la richiesta di ridurre i contenuti didattici delle varie discipline. Se poi si aggiunge che il MIUR premia le università i cui studenti iscritti al primo anno abbiamo conseguito un numero minimo di crediti formativi (40 CFU, in media almeno 4 esami), l’incentivo perverso è quello di abbassare complessivamente la qualità delle verifiche agli esami nel tentativo di raggiungere il target assegnato, con un generale decadimento della qualità complessiva della istruzione universitaria.

Certo la questione è complessa e tanti sono i fattori in gioco che vanno al di là della possibilità di risolvere il problema con un solo intervento. Bisogna strutturare quindi interventi di modifica, che operino su più variabili del sistema. Interventi socio-economici come un numero più alto di borse di studio per le persone che hanno un reddito basso. Interventi di assessment sugli studenti che valutino la motivazione e il livello di competenze iniziali in modo da strutturare interventi di potenziamento, monitorandone l’andamento, e che li aiutino ad avere livelli di rendimento accademico e di benessere più alti. Interventi sui docenti che dovrebbero essere disponibili, empatici, nel sostenere gli studenti ed essere attenti all’individualità di ognuno. Un coordinamento più stretto con gli attori del territorio, con le scuole precedenti innanzitutto. Allenare a pensare anche gli studenti delle scuole elementari, medie e superiori; far comprendere meglio il desueto senso del sacrificio, la potenza della forza di volontà, il parassitismo di energie che proviene dalla dipendenza dai cellulari.

Crediamo sia urgente aprire un dibattito nel paese ed in particolare nella nostra regione sul ruolo della scuola e della università nella formazione dei nostri giovani e della futura classe dirigente. Un dibattito che coinvolga il mondo della scuola, delle ricerca, delle associazioni culturali e della politica, in grado di formulare proposte di riforma e misure concrete di policy per arginare la deriva nella quale oggi sembra essere avviluppato il mondo dell’istruzione.

Michele Limosani

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