Produttività e debito pubblico: le sfide economiche dell’Italia
Michele Limosani
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Un rapido sguardo all’andamento dell’economia italiana nell’ultimo ventennio mette in luce l’esistenza di due gravi patologie che condizionano il presente e rischiano di compromettere lo sviluppo futuro del nostro paese: la bassa crescita della produttività e un debito pubblico tra i più alti all’interno dei paesi OCSE.
Tra il 1995 ed il 2018 la crescita della produttività del lavoro in Italia (fonte ISTAT) è stata dello 0,4% ed è risultata decisamente inferiore alla media europea pari a 1,5%. Il gap di produttività del nostro paese è risultato dell’ordine di 1% medio annuo. Secondo le statistiche sulla contabilità della crescita, poi, l’aumento del valore aggiunto del paese nello stesso periodo è stato dello 0,7% ed è quasi esclusivamente imputabile all’accumulazione del capitale (0,5%) e all’aumento della forza lavoro (0,2%); il contributo della produttività è risultato nullo.
Ora, esiste un vasto consenso tra gli economisti sul fatto che la produttività determina nel lungo periodo la “ricchezza delle nazioni” ma è altrettanto vero che la dinamica di questa variabile economica esercita i suoi effetti sul sistema anche nel breve periodo.
Un basso tasso di crescita della produttività, infatti, induce una dinamica salariale stagnante che deprime i consumi delle famiglie e la domanda di beni e servizi. Esso, inoltre, influenza la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. Senza più la possibilità di svalutare il tasso di cambio, aumenti salariali -non in linea con la crescita della produttività- possono determinare un aumento del prezzo dei beni. Paesi europei come la Germania e la Francia, dunque, che registrano un tasso di crescita della produttività tre volte più grande di quello italiano, possono concedersi aumenti dei salari e dei profitti maggiori di quanto avviene per il nostro paese senza per questo alterare il prezzo dei loro beni. La perdita di quote di mercato del nostro sistema paese influenzerà negativamente anche la produzione e i livelli occupazionali.
Il secondo problema riguarda il debito pubblico. Un “macigno” che condiziona fortemente i margini di manovra della politica fiscale di qualsiasi governo e riduce i tassi di crescita dell’economia nel lungo periodo. Un debito pubblico così elevato che “spiazza” gli investimenti privati, a causa dei più alti tassi di interesse che i mercati finanziari richiedono per acquistare titoli del debito, ed espone il paese al rischio di una crisi finanziaria, come quella del 2011, nello sfortunato caso in cui uno shock recessivo dovesse colpire la nostra economia.
Il paese è chiamato ad affrontare queste due gravose questioni attraverso proposte credibili all’interno dell’Unione Monetaria Europea, anche per non lasciare il peso delle decisioni alle future generazioni. Un Europa alla quale non è lecito scaricare le responsabilità di una classe dirigente che non ha saputo o voluto trovare soluzioni ai problemi che incombono sulla nostra economia. Ma un Europa, questo sì, a cui chiedere maggiore cooperazione, solidarietà, condivisione di analisi e una rinnovata azione di politica economica che superi la sterile politica dell’austerity.